Associazione Italiana Cultura Classica - ROMA
Roberta De Luca "Primo Levi e il contagio. Esperienze didattiche durante la pandemia".
Il lessico del contagio nell'opera di Primo Levi. Conferenza della professoressa De Luca, tenutasi in modalità on line su piattaforma teams il 18 febbraio 2021 alle ore 17. Sono intervenute anche le studentesse Gaia Lauretti e Natalia Nowicka. Il video è stato curato dalla IFS Leoservizi di Terracina.
Qui una presentazione tratta dalla pubblicazione DIZIONARIO LEVIANO
ILLUSTRATO DELLA PANDEMIA.
"Le voci contagio, contagioso sono presenti nell’opera di Primo Levi con le diverse denotazioni già insite nell’etimologia latina del termine. Il verbo contingere, da cui deriva contagium, significa, tra le altre cose, essere in contatto, coinvolgere, contaminare, toccare in sorte; il vocabolo contagio contiene quindi diverse sfumature che ritroviamo nei luoghi della letteratura leviana, con connotazioni talvolta sorprendenti. Lo scrittore lo sceglie quando parla di sentimenti che si propagano tra persone che sono vicine e che condividono delle esperienze, come il terrore che in Lager domina lo stato d’animo dei prigionieri, o la felicità che Sandro, il protagonista di Ferro, prova in montagna, o ancora la speranza che è contagiosa come il colera e va tenuta a freno per non illudersi; oppure lo utilizza nel senso di contaminazione, a cui egli attribuisce sia un valore letterale scientifico, se si tratta di epidemie vere e proprie, sia una valenza metaforica, che gli permette di esprimere il concetto di male con una potenza che resta per sempre impressa nella mente del lettore. Davvero incredibile è la casualità che si è verificata nella vita dell’autore rispetto al significato di ‘toccare in sorte’: in Pipetta da guerra, Levi racconta di essere sopravvissuto ad Auschwitz, grazie al contagio contratto da una zuppa infetta, che lo costrinse a rimanere in infermeria, evitando così di essere trascinato via nell’evacuazione dal campo, poco prima della liberazione da parte dell’Armata Rossa.
In un saggio del 1985, L’uomo che vola, un Levi visionario scrive: «il nostro povero corpo, così indifeso davanti alle spade, ai fucili e ai virus, è a prova di spazio»1. Dunque i virus sono posti accanto alle armi come quegli elementi da cui il nostro corpo si deve difendere, anticipando uno scenario che si sta verificando e che ci ha colti del tutto impreparati (al contrario, le strategie militari sono state certamente pianificate per ogni eventualità). È la conclusione di un discorso che parte da un articolo scientifico sulle esercitazioni preparatorie ai viaggi nello spazio, e che riguarda la capacità misteriosa dell’uomo di muoversi in assenza di gravità, grazie all’assenza di peso. L’uomo ha tanti limiti, ma non quello dell’abaria, sostiene Levi, e questo forse gli permette di cullare da sempre il sogno di volare, in maniera conscia e inconscia. Un sogno realizzato da Isabella, la protagonista de La grande mutazione, primo caso in Italia del contagio – già diversi focolai si erano registrati in Canada, in Svezia e in Giappone – da uno strano virus, non nocivo, che trasforma gli esseri umani in uccelli. Colpisce tutti, ragazzi e adulti, anche se solo i giovani sembrano trarne una vera utilità. Il virus, sebbene etimologicamente evochi un potere venefico, diventa qui un vantaggio connesso alla capacità dell’uomo di volare, ovvero all’ingegno e alla tecnica per relazionarsi alla natura, alla condivisione delle esperienze, al valore dell’intelligenza che può sfidare le difficoltà. Insomma alle possibilità che l’umanità possiede, in particolare i giovani, per sconfiggere il male in tutte le sue forme".
Roberta De Luca