Il 27 gennaio ricorre la Giornata della Memoria, che non deve essere un’episodica riflessione ma uno spunto per una consapevolezza perpetua di ciò che è successo, in modo che eventi del genere non si ripetano mai più.
Nella maggior parte delle Scuole Secondarie di primo grado della Riviera d’Ulisse, essere selezionati, durante il corso dell’ultimo anno, per intraprendere il viaggio nei luoghi della memoria, che solitamente ha luogo durante l’ultima settimana di gennaio, è un privilegio, un onore e sicuramente un’opportunità di crescita senza pari. È paradossale, quasi grottesco, come un viaggio talmente ambito oggigiorno, settant’anni fa sia stato strumento di sfruttamento e genocidio di massa; un viaggio, noi ora sappiamo, che spogliava completamente gli esseri umani della loro dignità, privandoli ingiustificatamente di quei diritti fondamentali che adesso sono assolutamente inalienabili. Sono circa ventiquattro le ore di pullman che gli studenti devono affrontare per raggiungere la loro meta, ventiquattro ore seduti su comodi sedili in compagnia dei propri amici; ma, nonostante ciò, la lunghezza del tragitto porta spesso la gente a rimanere sconcertata.
Eppure il disagio dei ragazzi impallidisce di fronte al pensiero delle condizioni disumane e della durata del viaggio vissuto dai deportati, stipati in vagoni e costretti all’inedia, spesso senza conoscere né lo scopo del viaggio né la loro destinazione. Questa inconsapevolezza accompagnerà i deportati anche nei campi di concentramento: dalla loro entrata in quest’ultimi fino anche alla loro morte. Un’inconsapevolezza che per molti si rivelerà nella sua manifestazione omicida, un’inconsapevolezza crudele e che non potrà fare altro se non lasciare spazio a una totale rassegnazione finale.
Adesso, invece, la consapevolezza pervade tutto il campo, dal momento in cui si varca la soglia dei cancelli di ferro, e diventerà un bagaglio di cui il visitatore non si libererà più. Calpestare lo stesso suolo e vedere gli stessi posti in cui si è consumata la strage, ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, lascia un segno indelebile nell’anima di coloro che entrano.
Anche il corpo dei deportati veniva permanentemente deturpato con un marchio su un braccio, un numero che non solo li declassava a possedimenti, “pezzi” da catalogare, ma soprattutto, come in un battesimo di fuoco, cancellava la loro vita precedente e li portava ad una perdita totale della propria identità. Il nome, molto spesso, è l’ultimo brandello che rimane dell’esistenza dell’essere umano, un diritto che neanche la morte cancella, mentre nei campi veniva strappato ai prigionieri privandoli completamente della possibilità di essere ricordati.
Anche nella comodità del proprio letto di albergo, protetti dal rigido freddo, non si può fare a meno di pensare a coloro che resistevano alle gelide temperature notturne di gennaio solo grazie ad un pigiama di flanella e al calore del loro corpo.
Sembra superfluo ribadire che il Viaggio della Memoria può solamente avvicinarci alla comprensione di ciò che è successo nei campi di concentramento durante il regime nazista, ma è una delle esperienze più costruttive che si possa fare in questo ambito, che ci insegna quanto siano fondamentali la memoria storica e il ricordo.
Il 27 gennaio ricorre la Giornata della Memoria, che non deve essere un’episodica riflessione ma uno spunto per una consapevolezza perpetua di ciò che è successo, in modo che eventi del genere non si ripetano mai più.
Asia Maimone
Michela Di Brizzi
Mara Omran
Komentarai