L’essere e l’apparire tra Bridgerton, Pirandello e Platone
«Bridgerton è una serie televisiva statunitense creata da Chris Van Dusen e prodotta da Shonda Rhimes, basata sui romanzi di Julia Quinn, ambientati nel mondo dell'alta società londinese durante la reggenza inglese.» (Fonte: Wikipedia) I temi trattati, nonostante la serie sia ambientata nella Londra ottocentesca, sono strettamente attuali, rivisitati in chiave moderna rendendo quella società lo specchio dei nostri tempi, immersi nelle fake news, nella maggiore importanza data alla propria immagine rispetto a ciò che si è davvero, nel femminismo e nel confronto con una società razzista; dieci episodi attraversati da leggerezza, scandali, segreti, balli, per una serie che non ha altra pretesa se non quella di intrattenere il suo pubblico. La protagonista, Daphne Bridgerton, deliziosa debuttante decisa a sposarsi per amore, raggiunta l’età del matrimonio, viene iniziata alla società; ma non sarà un’impresa semplice in una comunità maschilista in cui etichette, regole sociali e perbenisimo impedivano alle donne di avere voce in capitolo. Per assicurarsi un marito che potesse dare loro ogni tipo di bene, le donne puntavano sull’apparenza, addobbando i propri corpi con gioielli di lusso e vestiti costosi -che la maggior parte delle volte non rispecchiavano la loro personalità- solamente perché la società lo imponeva loro. Alla fine, Daphne riesce a trovare il vero amore nel duca di Hastings, che va oltre le apparenze e si innamora del carattere, della personalità, della fanciulla. Difatti, a differenza di molte sue coetanee, Daphne porterà avanti il suo matrimonio per molto tempo, essendo questo basato sul vero amore.
La maggior parte della storia è raccontata attraverso i commenti sagaci delle cronache scandalistiche di Lady Whistledown. Questa scrittrice, in anonimato, pubblica ogni settimana un articolo in cui rivela scandali, retroscena e pettegolezzi sui protagonisti delle famiglie più note nella città, creando così caos e vari litigi negli ambienti dell’alta società. La misteriosa donna utilizza l’anonimato per diffondere le sue idee ed opinioni (magari perché con la sua vera identità non ha mai fatto emergere la sua personalità a causa di insicurezze per il suo aspetto fisico o per il suo carattere?). Sulle battute d’arrivo della prima stagione, troviamo Lady Whistledown al sicuro dentro una carrozza, coperta da un cappuccio, fintanto che non lo abbassa rivelando la sua identità: si tratta di Penelope Featherington, una ragazza estremamente intelligente, con uno spirito acuto e un cuore caldo. Penelope preferirebbe "ondeggiare" tranquillamente vicino al perimetro delle sale da ballo piuttosto che essere al centro della scena, nata in una famiglia che non la capirà mai veramente (come se avere a che fare con spietate e cattive ragazze della Regency London del 1813 non fosse abbastanza). Per questo motivo, la fanciulla utilizza una sorta di “maschera” e, proteggendosi con l’anonimato, riesce a far uscire la sua vera personalità, non apparendo più come la società l’aveva etichettata: timida e innocente, che non avrebbe raggiunto nessun obiettivo a causa del suo aspetto esteriore.
In questo periodo (1800) il tema delle maschere è ricorrente anche in campo letterario. Pirandello affermava che: "La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d’arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi, perché noi già siamo forme fissate, forme che si muovono in mezzo ad altre immobili, e che però possono seguire il flusso della vita, fino a tanto che, irrigidendosi man mano, il movimento, già a poco a poco rallentato, non cessi."
La forma di cui parla Pirandello rappresenta l'insieme degli ideali, obblighi sociali e abitudini che l’uomo è portato a sopportare e che gli garantiscono di inserirsi nella società, indossando tuttavia una maschera. Il conflitto tra essere ed apparire, o -in Pirandello- tra vita e forma, inizia solitamente in età adolescenziale, quando per la prima volta ci si deve confrontare con le aspettative altrui. L'obiettivo dei giovani è quello di apparire belli, simpatici, attraenti, alla moda e, perché ciò avvenga, costringiamo noi stessi ad omologarci e ad avere tutti lo stesso abbigliamento, linguaggio, abitudini, atteggiamenti; oppure tendiamo a mutare il nostro io e la nostra personalità, imponendoci etichette “tipologiche”: il bullo, l’estroverso, il timido, il secchione, il menefreghista, il rubacuori. Essere se stessi e non cedere a determinati luoghi comuni è troppo difficile, poiché questo comporterebbe mostrarsi vulnerabili o addirittura “strani” alla società. La maschera è dunque una protezione inconscia dalle possibili sofferenze e critiche. Il problema è quello di scegliere se si vuole essere ciò che si è, oppure se si preferisce apparire per ciò che non si è. Scegliendo la via dell’essere, ogni uomo può incidere positivamente nella società, proponendo stili di vita e modelli diversi.
Prima di Pirandello, Platone vedeva la bellezza dell’anima come un concetto astratto basato sull’ideale. La bellezza fisica ha un ruolo importante nella nostra vita, dal momento che viviamo in una società che è sempre alla ricerca della perfezione, ossessionata dal mito di essa. Il linguaggio della bellezza è universale, basti pensare ad espressioni idiomatiche come “una bella donna”, “un bel paesaggio”; ma, dal momento in cui pensiamo al mondo spirituale, le cose già cambiano. In questo ambito, tutto ciò che è ritenuto bello, in realtà, è qualcosa di non-concreto e diventa estremamente complesso definire la bellezza.
Secondo Platone, esiste la bellezza interiore, ma continua a vivere soltanto se qualcuno riesce a vederla; mentre la bellezza esteriore esiste per tutti, è oggettiva, ma allo stesso tempo è ritenuta anche molto più fragile, perché non apparterrà per sempre a quel corpo, dato l’invecchiamento del corpo stesso che la corrode; essa è inoltre legata alla presenza/assenza della bellezza interiore.
La verità è che ci sono entrambe le bellezze: quella esteriore e quella interiore. La prima è più evidente, più adatta a suscitare emozioni, più immediata, più gratificante e a breve scadenza; la seconda è più sottile, di solito richiede più tempo per essere percepita, è più profonda e non sempre si rivela appieno a un’occhiata distratta. La bellezza dell’anima -è la bellezza, per esempio, dell’intelligenza, dell’onestà, della coerenza, della generosità- è una bellezza che non ha niente a che fare con i cosmetici, che non è dovuta a un abito elegante o a un’automobile di ultimo modello, che non può diventare nostra in cambio di un assegno, ma che, se la vediamo al di là delle apparenze, ci ispira, ci guida, trasforma la nostra vita. La bellezza, dunque, è un segno di completa contrapposizione; fa emergere la nostra maturità/immaturità. Davanti al mistero della bellezza, non dobbiamo chiederci se siamo fortunati o meno, o se possediamo quelle tecniche tramite cui si può ottenere quella altrui, dato che davanti ad esso, alla lunga, non si può mentire e non si riesce a far credere a nessuno di essere qualcosa, o qualcuno, che non siamo. Bellezza chiama bellezza e soltanto quella spirituale sa comprendere quella fisica. Per Platone, «ciò che sembra essere, semplicemente appare, mentre ciò che sembra apparire, veramente è». In greco, si direbbe “dokei”, appare che sia così, ma nel senso che tale è l’opinione corrente riguardo l’evento (dòxa).
Il mondo non è sempre ciò che appare. Vi è una significativa differenza tra apparenza e realtà. La maggior parte di noi prende l’una per l’altra. Pensiamo di comprendere la realtà, ma non è così.
Le persone, dice Platone, hanno una scarsa conoscenza della realtà, preferiscono accontentarsi di ciò che hanno di fronte piuttosto che andare a fondo delle cose con il pensiero. Le apparenze ingannano e ciò che queste persone vedono non è la realtà, ma la sua ombra.
Giuliana di Maro
Ester Iacovacci
Asia Marrone
Livia Magnante
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